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Coronavirus e salute psicologica nel periodo perinatale

Uno spazio di pensiero sulle criticità del nostro lavoro ai tempi del Covid-19

No health without perinatal mental health (Louise Howard e coll. 2014)

Come Psicologa e Psicoterapeuta che si occupa da 25 anni dell’ambito perinatale sia nel servizio pubblico (lavoro nel reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale di Vicenza) che privatamente (sono Responsabile Clinico del Centro Maternità in difficoltà) ritengo importante condividere ed aprire uno spazio di riflessione su quel che sta accadendo alle donne/uomini /famiglie che affrontano il delicato passaggio della nascita di un figlio in questo tempo così difficile.

Credo che come psicologi non possiamo fare a meno di interrogarci su quali siano gli scenari che ci troviamo e troveremo ad affrontare prossimamente e quali strumenti organizzativi e clinici potrebbero aiutarci ad aiutare i nostri pazienti. Quando i nostri pazienti sono donne e coppie che stanno vivendo un passaggio così delicato ed importante per il futuro della famiglia e del bambino che vogliono o che stanno mettendo al mondo, la responsabilità che gli psicologi perinatali hanno è veramente grande.

Partendo dalla concretezza dell’esperienza lavorativa quotidiana ai tempi del coronavirus, vorrei proporre alcune criticità che sto riscontrando nel lavoro psicologico e psicoterapeutico nell’ambito perinatale e le relative riflessioni che ciò mi sollecita.

Tre settimane fa, in piena emergenza, in ospedale un collega medico mi chiede “Come stanno le donne in reparto ”…Ci penso in mezzo ad uno scenario di atri e corridoi desolati e vuoti, gli rispondo “Reggono bene tutto sommato. hanno quella giusta dose di negazione che le protegge dal sentirsi troppo angosciate”, ma so che questa è solo una parte della risposta. C’è infatti la cosiddetta “altra faccia della medaglia” o per utilizzare le parole di Joan Raphael-Leff quando parla dei vissuti del periodo perinatale, c’è “Dark side of the womb” che è anche il titolo del suo ultimo bellissimo libro (2016). In questo testo, l’autrice parla, forte della sua esperienza di 40 anni di clinica in ambito perinatale, degli aspetti in ombra della maternità/genitorialità e di come questi se non colti e accolti rischino di compromettere l’equilibrio emotivo e relazionale delle donne, delle coppie e dell’intera famiglia. Sì, perché la maternità slatentizza le fragilità, punta i riflettori sulle zone d’ombra di ciascuno di noi costringendo a fare i conti con le proprie parti più fragili e a trovare nuovi compromessi per poter evolvere, crescere.

Ed eccoci allora come clinici, a dover rispondere alle esigenze di cura di quelle donne/ uomini per cui la gravidanza il parto ed il diventare madri/padri è un percorso ad ostacoli, quelle donne per cui la vita stessa è stato un percorso ad ostacoli. Per loro questo virus può essere particolarmente insidioso.

Sappiamo infatti che il coronavirus può essere molto pericoloso per chi è più fragile e questo è evidente che non vale solo per il corpo, ma anche per la mente. E mi vengono in mente tutti i colloqui di queste ultime settimane, con pazienti che tutto sommato erano riuscite ad attraversare le burrasche che talvolta la vita impone a chi si avventura nei mari profondi del diventare madre/padre. In questo momento queste donne si ritrovano a dover gestire un’onda di ritorno caratterizzata dalle ansie e angosce, talvolta anche molto inquietanti, che questa situazione sollecita…

Potrei riempire pagine di racconti di donne e coppie già provate e che ora si trovano ulteriormente spaventate e angosciate a dover fare i conti con i duri limiti che la situazione italiana, europea e mondiale sta imponendo e imporrà a tutti noi.

Ma le donne e gli uomini nel periodo perinatale non sono “tutti noi”, sono donne e uomini che vivono un periodo bello, ma che può essere difficile. La società stessa dovrebbe pensare a proteggerli, perché sono un’assicurazione sul futuro della nostra umanità…senza donne e uomini che decidono di diventare genitori non ci sono bambini e senza bambini non c’è continuità. Ma non solo……senza mamme e papà sufficientemente sani ed emotivamente stabili non ci sono bambini sani e con uno sviluppo sufficientemente equilibrato.

Quali ripercussioni potrebbe avere la pandemia e le sue conseguenze sulla salute emotiva delle donne e sulle famiglie nel periodo perinatale?

Una prima considerazione riguarda la natalità già bassa che rischia di abbassarsi ulteriormente. D’altra parte come biasimare una donna (e una coppia) che non si sente di mettere al mondo un figlio se la condizione economica è troppo instabile o se non sa poi come poter organizzare un eventuale rientro al lavoro, che oggi più che mai diventa fondamentale per chi ce lo ha, data la crisi economica che riduce i posti di lavoro. Non tutti hanno i nonni che possono accudire i nipoti….gli asili nido riapriranno? E le scuole materne? E con che organizzazione?

Ma al di là del possibile ulteriore calo della natalità, viene spontaneo interrogarsi su quale sarà l‘impatto che questa pandemia avrà sulla salute mentale perinatale. Come stanno reagendo e come reagiranno a questa pandemia le donne che hanno disturbi d’ansia o depressivi in gravidanza o nel postparto?

Le donne che in gravidanza hanno un disturbo d’ansia, che per altro è il disturbo emotivo più frequente in gravidanza, come potranno reagire nel tempo di fronte ad un pericolo invisibile che costringe a pratiche di distanziamento e di igiene così scrupolose, che porta con sé disoccupazione e crisi economica?

Le pazienti che seguo in gravidanza e nel postparto che hanno disturbi depressivi, che spesso sono associati ad aspetti ossessivi, mostrano un evidente incremento della sintomatologia sia depressiva che ansiosa e della sofferenza ad essa associata. Anche se attualmente non ci sono ancora a mia conoscenza studi pubblicati su questo argomento specifico, la rivista the Lancet (Holmes e coll., 2020) nel mese di aprile 2020 ha pubblicato un position paper sulle priorità della ricerca nella salute mentale durante la pandemia covid 19, in cui vengono illustrati in maniera esaustiva quali debbano essere gli obiettivi e gli standard della ricerca circa la salute mentale nella popolazione colpita da Covid 19 e vengono ipotizzati quali potrebbero essere i pericoli per la salute mentale e le azioni da implementare per proteggere le fasce più deboli della popolazione

Una altro aspetto che ritengo vada preso in considerazione parlando delle conseguenze della pandemia riguarda lo stress a cui le donne in gravidanza e postparto potrebbero essere sottoposte in questo tempo così instabile e privo di sicurezze. Oggi sappiamo, grazie a un’enorme mole di ricerche, che dalla salute psicologica gravidica e postnatale della madre (e del padre) dipende la salute psicologica del bambino, e più piccolo è il bambino più questo è evidente e le conseguenze rischiano di essere pesanti (Stein et al., 2014; Weng et al., 2015; Lewis et al., 2015; O’Donnel et al., 2017). Sappiamo che stress prolungati in gravidanza e nel postparto possono alterare i profili di alcuni parametri ematochimici materno fetali ed avere conseguenze sia sulla condizione psicologica materna che sullo sviluppo emotivo, cognitivo e relazionale del bambino (Kingston e Mughal, 2018). Questi effetti si amplificano ulteriormente per chi vive in situazioni di svantaggio socio culturale ed economico (Stein et coll., 2014). Le ricadute sulla famiglia e sull’intera società sia in termini di salute che in termini economici sono importanti. In proposito non si può non citare lo studio inglese di Bauer e collaboratori (Bauer e coll.., 2014) che ha stimato per ogni singola coorte di bambini nati in ogni singolo anno, una spesa sanitaria globale di £8.1 miliardi. Il 72% di questi costi gravano sulle conseguenze avverse legate alla salute del bambino.

Penso poi alle donne che devono e dovranno partorire nei prossimi mesi con l’ansia che l’ospedale non sia poi un luogo così sicuro, divise tra quelle che reclamano la presenza del papà in sala parto perché è un diritto e perché l’OMS fino ad ora ci ha detto che questo è possibile, e quelle che invece si sentono inquiete perché chi lo garantisce che quel papà che ha passato ore e ore in sala parto, è negativo? In una letter to editor uscita il 15 aprile sulla Achives of Women’s Mental Health (Hartmann e coll., 2020) i colleghi psicologi e psichiatri che lavorano nei servizi ospedalieri di New York, città duramente colpita, sottolineano tutte le loro preoccupazioni circa l’impatto sulla salute mentale dei cambiamenti di setting nell’assistenza ospedaliera alle donne e ai loro bambini nella fase pre parto, parto e postparto.

Ci sono poi le coppie che per avere un figlio devono affrontare percorsi di fecondazione assistita, costosi sia dal punto di vista economico che personale (Wischmann T., 2018). Attualmente in Italia circa il 15% delle coppie ha problemi di infertilità. Il nostro paese è l’ottavo al mondo per numero di trattamenti di procreazione medicalmente assistita (Pma) (Salute e Benessere 2019 https://bit.ly/2RJPxub). I centri pubblici sono pochissimi e la maggior parte delle coppie si rivolge a centri privati italiani o stranieri con esborso di notevoli somme di denaro. Non tutti potranno permettersi queste spese e si troveranno a dover fare i conti ancora una volta con i limiti che la realtà impone questa volta non sono solo i limiti del loro corpo ma anche quelli dettati dal coronavirus e dalle sue insidiose conseguenze.

Accanto a queste coppie ci sono poi quelle che un bambino lo hanno avuto ma non hanno potuto crescerlo, le coppie che hanno perso prematuramente il bambino o per cui la gravidanza si è interrotta prematuramente. Il lutto di queste donne e uomini è spesso costellato di angosce e sensi di colpa per non essere riusciti a fare nulla perché non accadesse, per non essersi accorti per tempo che c’era qualche cosa che non andava( Sejournè N. e Goutaudier N., 2018) o per aver interrotto la gravidanza dopo una diagnosi prenatale infausta(Galst P., 2018). La speranza di poterci riprovare è un elemento fondamentale che accompagna l’elaborazione del lutto, ma per chi dovrà fare i conti con difficoltà economiche o di salute? Come venire a patti con un’idea di futuro che non ci garantisce ciò che abbiamo dato sempre per scontato quando già siamo stati provati da un evento come il lutto perinatale che già di per sé è un evento deflagrante? Come potrà colorirsi il futuro per queste donne e per queste coppie?

Penso a cosa sta creando e creerà nella nostra mente l’idea che tra noi e l’altro ci può essere un virus letale pronto ad irrompere nello spazio fisico e mentale della scena affettivo/relazionale..…cosa creerà nella relazione tra madre e bambino, tra il bambino e gli altri bambini o gli altri adulti con cui potrebbe venire in contatto? Le mamme faranno più fatica ed uscire dalla simbiosi con il proprio bambino dato il mondo pericoloso che ci aspetta lì fuori? Che spazio ci sarà per “il terzo”, elemento separatore che lancia il bambino alla scoperta del mondo, se il mondo non è più percepito come un luogo sicuro?

Come psicologi perinatali credo che molte siano le sfide che ci attendono sia dal punto di vista della tipologia di problematiche che arriveranno in consultazione e terapia, sia dal punto di vista del modo di lavorare nel setting terapeutico e nel lavoro psicoeducazionale che abitualmente svolgiamo con donne e coppie in gravidanza, nel dopo parto e nei primi anni di vita del bambino.

Cosa possiamo fare noi oggi ma anche nei prossimi mesi come Psicologi Clinici e Psicoterapeuti perinatali?

La nostra Regione cosi come le principali regioni del nord Italia proprio perché colpite pesantemente dalla pandemia, si sono trovate improvvisamente a dover interrompere la continuità delle cure di routine che non fossero necessarie e prioritarie. I Corsi preparto e postparto, i Corsi di Accompagnamento alla Nascita, le consulenze per l’allattamento al seno, il supporto al postparto, i corsi massaggio al neonato sono stati temporaneamente interrotti. Insieme a ciò il setting abituale di parto e postparto all’interno delle strutture ospedaliere è stato modificato per far fronte al pericolo coronavirus. L’incertezza rispetto alla possibilità di poter avere il papà accanto durante il travaglio e nei giorni dopo il parto per molte donne viene vissuta con emozioni negative di sconforto, di rabbia, di tristezza che evocano, in alcune, aspetti depressivi e abbandonici. L’assistenza contenitiva del personale ospedaliero, unita da un uso strategico delle tecnologie, si sta dimostrando fondamentale per attenuare questi vissuti. Importanti sono le iniziative sia del servizio pubblico che di associazioni ed enti privati che quasi immediatamente hanno spostato via web i corsi di preparazione alla genitorialità, l’assistenza di ostetriche e consulenti per l’allattamento, così come numerosi sportelli di ascolto e supporto rivolti alla popolazione generale, ma anche sportelli specifici per mamme in difficoltà.

Attualmente siamo entrati nella cosiddetta fase due della pandemia e non sappiamo bene cosa aspettarci. Intuiamo che la nostra vita e quella dei nostri pazienti non potrà tornare quella di prima. Questo crea un clima di sospensione e di incertezza rispetto a come noi psicologi potremo fare il nostro lavoro, dato che il distanziamento sociale è la prima arma contro il virus, ma non è amico della relazione terapeutica.

Questi aspetti ci inducono a “navigare a vista” cercando di adattare i nostri interventi e contributi ad un futuro il più prossimo possibile, senza mai perdere di vista un obiettivo a lungo termine, che è quello di mantenere attivi e con un alto standard qualitativo la rete di servizi psicologici perinatali e di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, presenti sul territorio che afferiscono sia al sistema pubblico che al privato e al privato sociale.

Per noi psicologi la sfida è grande, in quanto stiamo apportando importanti modifiche del nostro setting esterno ed interno per implementare modalità di lavoro in remoto che inevitabilmente pongono dei limiti al lavoro psicologico e psicoterapeutico. Sarà necessaria tutta la nostra capacità di essere flessibili e avere l’ apertura di sperimentare nuovi modi di lavorare, sui quali la nostra comunità professionale dovrà creare poi spazi di riflessione clinica e confronto tra professionisti.

Ma se rispetto agli interventi psicoterapeutici e al supporto psicologico erogati nel perinatale, ci sono studi e ricerche specifici che ne indagano gli aspetti salienti e distintivi così come l’efficacia, altrettanto non è per gli interventi psicoeducazionali che rischiano di essere erogati senza sufficienti garanzie per i pazienti/utenti. Rispetto a queste attività infatti ad oggi c’è poca letteratura in merito all’efficacia degli interventi via web o telefono. Ad esempio per quel che riguarda i percorsi di accompagnamento alla nascita-genitorialità a mia conoscenza c’è attualmente un solo un articolo pubblicato su riviste peer review sull‘efficacia di questi corsi effettuati via web (Tsai et al., 2018). Sarà quindi importante poter predisporre e stimolare la comunità professionale a lavorare implementando procedure e contenuti che abbiano metodologie ed obiettivi chiari e standardizzabili in modo da poterne verificare, attraverso studi e ricerche, l’efficienza, efficacia e l’appropriatezza. Questo vale per i corsi di accompagnamento alla nascita, di preparazione alla genitorialità, per i percorsi di sostegno alla neogenitorilità e alla relazione madre bambino.

Un’ altra criticità da non sottovalutare per quel che riguarda queste attività psicoeducazionali e di supporto via web, è il pericolo che possano essere meno fruibili da parte delle fasce meno abbienti e più svantaggiate della popolazione che trovavano nei Consultori familiari territoriali un punto di riferimento importante. Sappiamo che proprio le fasce più povere e svantaggiate della popolazione sono quelle che tradizionalmente mostrano dei limiti nell’accesso ai servizi nonostante siano quelle più a rischio psicosociale (Quatraro e Grussu 2018).

Vorrei concludere condividendo un pensiero circa la fatica che come psicologa e psicoterapeuta perinatale sento nel lavoro quotidiano di questo periodo che impone a tutti noi le sue regole e le sue sferzate. Credo che in questa situazione dove sentiamo forti i nostri limiti come individui e come terapeuti, sia importante nutrire la fiducia che possiamo aiutarci come comunità professionale ed aiutare i nostri pazienti ad accettare ed elaborare i limiti talvolta anche duri che incontrano nel percorso del diventare genitori, cercando di accompagnarli nel difficile e faticoso percorso di elaborazione del lutto legato alla perdita dell’illusione che la vita è solo nostra e la gestiamo come vogliamo e se c’è un ostacolo lo possiamo sempre aggirare spostando onnipotentemente il limite sempre un po’ più in là.

Questo vale per i nostri pazienti, ma vale anche per noi e credo che sia per tutti un insegnamento prezioso.

BIBLIOGRAFIA

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Rosa Maria Quatraro. Psicologa Psicoterpaeuta , Specialista in Psicologia Clinica

Servizio Psicologia Ospedaliera, AULSS 6 Berica

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