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INSEGUENDO IL MITO DELLA PERFEZIONE, MA A QUALE PREZZO?

Articolo a cura della Dott.ssa Francesca Stecchi, Membro del GDL Psicologia dello Sport dell’Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi del Veneto.

Attività sportiva è da sempre associata a ‘benessere’, che ha il significato di: “Stato felice di salute, di forze fisiche e morali”. In tempi moderni, allo sport dilettantistico, si è sostituito quello professionistico, i cui interessi vanno al di là della salute dell’atleta. Purtroppo, recenti episodi, ci obbligano ad alcune considerazioni. In questi giorni abbiamo sentito molto parlare delle accuse mosse da alcune atlete della ginnastica ritmica nei confronti dei loro allenatori e allenatrici, circa la pressione psicologica subìta per dover seguire rigidi canoni estetici. Questa idoneità fisica è alla base degli sport che vengono chiamati “estetici” ovvero di tutti quegli sport dove viene messa in stretta correlazione l’aspetto dell’atleta con la performance sportiva.


In ambienti sportivi dove la ripetizione estrema dei movimenti e il perfezionismo sono predominanti, vi sono dei canoni fisici per i quali si viene giudicati idonei o meno. Vi è la credenza che un peso corporeo che superi determinati valori, riduca la prestazione sportiva e aumenti il rischio di infortunio. Questa logica portata all’estremo fa sì che talvolta venga meno il prendersi cura dell’atleta, dando maggior importanza al risultato e normalizzando l’ideologia del sacrificio, del dolore e della violenza fisica, psichica e verbale che viene giustificata e razionalizzata come necessaria per il raggiungimento di una prestazione ottimale. Quindi l’attenzione ad un corpo eccessivamente magro, ad una dieta non equilibrata rispetto al fabbisogno energetico necessario per sostenere gli allenamenti e le gare, “il rito” del peso sulla bilancia più volte al giorno, l’utilizzo eccessivo di lassativi, diuretici, pillole dimagranti, il vomito autoindotto, il bere poco, diventano routine per sentirsi accettate sia dal coach che dalle compagne, dai giudici e da tutto il sistema.

Le misure sopra citate, adottate per mantenere un corpo da “silfide”, hanno un enorme peso sulle atlete, considerando che l’avvio verso questi sport avviene in età molto precoce, dal momento che ci vuole un lungo periodo di apprendimento dei movimenti.

Negli ultimi tre decenni, un gran numero di studi ha documentato un rischio, una prevalenza e un’incidenza più elevati di disturbi alimentari tra gli atleti, rispetto alla popolazione generale (Hausenblas, H. A., & Carron, 1999). Gli atleti sono anche esposti alle pressioni interne del proprio sport, che spesso enfatizzano eccessivamente il legame tra le massime prestazioni e un peso specifico.


Tra i vari screening tools che sono stati utilizzati per predire i fattori di rischio degli infortuni, vi sono le valutazioni del peso, della massa corporea e della grandezza del corpo. Molti hanno tuttavia riportato che sono poche le ricerche che si sono focalizzate sui fattori sopradescritti. Questo concetto dovrà essere validato attraverso studi futuri, per vedere se realmente un peso ed una massa corporea sopra determinati
range specifici, possono essere visti come fattori di rischio maggiore di infortunio, oppure se sono fattori culturali radicati da tempo nell’ambiente degli sport estetici. (Armstrong e Relph, art.73, 2021, Sport Medicine).


Le lunghe ore di allenamento fisico quotidiano, la pressione per mantenere un corpo estremamente sottile, così come la necessità di essere tecnicamente, artisticamente ed esteticamente eccellenti, porta molto spesso ad un disturbo che si chiama Anoressia Atletica, che si differenzia dall’anoressia nervosa in quanto la perdita di peso è strettamente finalizzata alla performance sportiva. Il corpo non viene più ascoltato, è la mente che gestisce i pasti e i bisogni del corpo.
Quando si segue una dieta estrema correlata ad un intenso esercizio fisico, insorge una condizione che si chiama “Triade femminile dell’atleta” che comprende tre disturbi disfunzionali (Loucks et al., 2011; Nattiv et al., 2007).

  1. Disfunzione mestruale: un’alimentazione a basso apporto calorico a fronte di richieste di alta energia per l’eccessivo esercizio fisico, lo stress e la bassa percentuale di grasso corporeo, possono causare o portare a cambiamenti ormonali che alterano o bloccano il ciclo mestruale.
  2. Bassa disponibilità energetica causata da abitudini alimentari errate e da un eccessivo esercizio fisico. “Avevo imparato che di notte perdevo tre etti e che un bicchiere di acqua ne pesava due” (riporta in una intervista Nina Corradini).
  3. Diminuzione della densità ossea: l’assenza del ciclo mestruale interrompe i processi di costruzione ossea e indebolisce lo scheletro, rendendo le ossa più fragili e quindi soggette a fratture.

Le alte aspettative e la pressione da parte di genitori, allenatori e compagni di squadra sono tra i principali fattori che causano disturbi alimentari (Dosil González-Oya, 2008).


Gli aspetti psicologici sono importanti quanto le capacità motorie, le caratteristiche fisiologiche e la meccanica del movimento. Infatti, gli aspetti meccanici, fisiologici e motori della ginnastica, come in tutti gli sport, sono significativamente influenzati dallo stato psicologico dell’atleta. Il rapporto tra la ginnasta e il proprio/a allenatore/allenatrice è considerato uno dei fattori più importanti per raggiungere il successo
competitivo. “Per le allenatrici ero solo una pedina, non c’era rapporto umano. Non mi hanno mai chiesto come stessi”. (cit. Nina Corradini)


È noto che la prevalenza di disturbi alimentari è sostanzialmente più alta tra le femmine rispetto ai maschi. Per questo motivo, gli atleti maschi sono raramente inclusi negli studi sui comportamenti alimentari. Tuttavia, alcuni di questi pochi studi, mostrano che gli atleti maschi che competono in sport che enfatizzano una forma del corpo magro o un basso peso corporeo hanno una prevalenza significativamente più alta di disturbi alimentari rispetto ad altri atleti e a non atleti.


In tutto questo, la presenza dell* psicolog* dello sport e di una equipe completa che possa assistere l’atleta diventa fondamentale per garantirne non solo la salute fisica e mentale ma anche per aiutare le figure degli allenatori e allenatrici, i genitori, le società e anche i giudici, i cui giudizi pesano molto sia sulla performance che sulla persona. È noto che a parità di esecuzione dell’esercizio venga dato maggior punteggio ad atlete che hanno un corpo che si orienta maggiormente verso i canoni estetici prefissati.


Una delle caratteristiche necessarie ad un coach per essere efficace è avere intelligenza emotiva, che comprende cinque aspetti fondamentali: la conoscenza ed il controllo delle emozioni, la capacità di automotivarsi, l’empatia e la gestione delle relazioni. Autoefficacia e Autostima rientrano nel costrutto del sé, importante per gli atleti per raggiungere in modo sano la performance ottimale, avendo la consapevolezza delle loro capacità senza doverle attribuire alla convinzione culturale che “il magro vince”. Un coach ha e deve avere il compito di aiutare l’atleta a sviluppare una sana autostima e una buona autoefficacia. Questo aiuta a prevenire anche l’ansia da competizione: se non ci si sente bene col proprio corpo, se si pensa di non essere abili nel proprio sport perché non si possiede un corpo “perfetto”, in gara ci si sente più vulnerabili ai giudizi del proprio coach e degli altri allenatori, delle altre atlete, delle stesse compagne di squadra e dei giudici. E questo, in uno sport dove il perfezionismo è altissimo, può compromettere in modo drastico la gara.


L’ambiente sportivo deve essere in primis un ambiente sano, sicuro e protetto. Un ambiente in cui vengono insegnate la disciplina e le regole, per far crescere ragazzi e ragazze che saranno poi degli adulti migliori, dove si insegna l’antifragilità. Per questo la formazione dei coach ed il supporto ai genitori come risorsa risultano estremamente importanti per cambiare il sistema e per tutelare il benessere delle atlete e degli
atleti a partire dalla giovane età.

REFERENCE:
– Hausenblas, H. A., & Carron, A. V. (1999). Eating disorder indices and athletes: An integration. Journal of Sport and Exercise Psychology, 21(3), 230-258.
– Armstrong, R., Relph, N. Screening Tools as a Predictor of Injury in Gymnastics: Systematic Literature Review. Sports Med – Open 7, 73 (2021).
American College of Sports Medicine. Position stand: the female athlete triad. (2007). Med Sci Sports Exerc, 39:1867–82.
– Nattiv, A., Loucks, A. B., Manore, M. M., Sanborn, C. F., Borgen, J. S., & Warren, M. P. (2007). American College of Sports Medicine position stand. The female atlete triad. Medicine and Science in Sports and Exercise, 39(10), 1867–1882.
– Dosil J, González-Oya J.  Eating disorders in athletes. Chichester, West Sussex, England: John Wiley & Sons, Ltd; 2008. Eating disorders and the Athlete’s environment; pp. 41–63.