Eco emotiva anche in Veneto per la morte della psichiatra Barbara Capovani. L’Ordine degli psicologi chiede che la sicurezza di operatori e malati si ponga «come un tema strutturale di prevenzione organizzativa».
È ancora forte il dolore per la morte della psichiatra Barbara Capovani, aggredita e uccisa a Pisa da un suo ex paziente. Il funerale della donna sarà una cerimonia strettamente privata, ma non mancheranno eventi pubblici per ricordare la professionista. E nel giorno del funerale, a Pisa sarà lutto cittadino.
Questo fatto di cronaca ha avuto, però, una grande eco emotiva. Ed anche in Veneto si è tornati a riflettere sulla sicurezza del personale sanitario. Personale che, purtroppo, subisce aggressioni quasi tutti i giorni, in particolare in quei servizi più a rischio, come l’emergenza-urgenza (118 e pronto soccorso), la guardia medica, le rsa e le comunità per chi ha disabilità, non solo dunque nei centri di salute mentale o nei serd (servizi per le dipendenze). «In questi contesti è necessario costituire adeguate pratiche professionali e misure organizzative, che garantiscano sicurezza ai professionisti che ci lavorano e agli utenti che li frequentano – hanno fatto sapere dall’Ordine delle psicologhe e degli psicologi del Veneto – La sicurezza dei lavoratori e dell’utenza sanitaria si deve quindi porre sempre più come un tema strutturale di prevenzione organizzativa, e non ridurlo a fenomeno affrontato solo reattivamente o “con buona volontà”, con l’alta probabilità che diventi cronaca nera».
«Esistono contesti più esposti di altri – ha spiegato Federico Zanon, dirigente psicologo in un serd – Nel serd in cui lavoro abbiamo in carico circa 600 pazienti adulti e alcune decine manifestano con costanza comportamenti aggressivi. Gli episodi di aggressività fisica sono in media di 4-5 al mese, quelli verbali sono quotidiani, episodi che non hanno conseguenze solo perché abbiamo procedure di sicurezza che ci aiutano a prevenire gli eventi e a gestirli in sicurezza quando si manifestano. Ma sarebbe un errore pensare alla violenza come a qualcosa che riguarda singoli pazienti violenti». L’aggressività è infatti un comportamento connaturato alla natura umana e ad alcuni disturbi mentali. Non si può eliminare, ma si può evitare che diventi violenza. E nei casi di violenza, si deve essere preparati ad agire in sicurezza per evitare danni ai sanitari e al paziente. «Il contesto sanitario – prosegue Zanon – è particolarmente esposto a condotte di violenza perché sono presenti tipici fattori scatenanti dell’aggressività quali il dolore psichico e fisico, la paura, la preoccupazione, la frustrazione, l’affollamento, l’asimmetria di poteri, il tempo di attesa. La violenza in questi contesti va gestita con precauzioni generali, attraverso l’organizzazione degli spazi, il controllo dei tempi di attesa e dei comportamenti delle persone, l’atteggiamento degli operatori orientato alla sicurezza. Gli operatori sanitari devono essere adeguatamente addestrati alla sicurezza, che deve diventare una cultura. Non basta il corso di formazione ecm di tanto in tanto, la cultura della sicurezza è una prassi che si forma giorno per giorno e si fonda sul principio della massima prudenza. Un presidio essenziale è l’analisi degli episodi di violenza. Ricostruire insieme all’equipe di lavoro la catena degli eventi, senza moralismi o colpevolizzazioni verso nessuno, è fondamentale per fare meglio e sviluppare sicurezza».
«Da più di dieci anni mi occupo di formazione per la prevenzione e gestione degli agiti aggressivi in ambito sociosanitario – ha poi spiegato Federica Sandi, consigliera segretario dell’Ordine degli psicologi – In particolare all’interno di servizi per la disabilità. Chi opera nei servizi si trova a gestire e prevenire situazioni con caratteristiche diverse a seconda dell’utenza, ma accomunate da una buona dose di apparente imprevedibilità. L’imprevedibilità può destabilizzare anche operativamente facendo vivere un senso di continuo allarme. È importante che nei contesti di lavoro le figure professionali sanitarie abbiano uno spazio di supporto ed elaborazione per riconoscere e gestire questo tipo di vissuti emotivi».
E per fare prevenzione è poi necessario passare alla condivisione di buone prassi pragmatiche comuni tra chi opera. «La prevenzione – ha concluso Sandi – viene fatta anche ripercorrendo gli eventuali episodi negativi per comprendere meglio come si è giunti fino a quel punto e cosa si potrebbe fare di diverso nel futuro per evitare di ritrovarsi nella stessa situazione. Ma spesso è difficile fare il debriefing successivo all’evento, perché l’operatore è al tempo stesso coinvolto emotivamente, con possibili vissuti di rabbia o di colpa, e colui che partecipa all’analisi degli antecedenti insieme ai colleghi».
Servirebbe infine fornire un’adeguata spesa sanitaria per il settore della salute mentale, come richiesta dal comitato a sostegno della salute mentale di Verona. «Da tempo si parla di spesa sanitaria per la salute mentale che si dovrebbe avvicinare al 5% della spesa sanitaria totale – ha dichiarato Cristina Ceriani, per conto del comitato – Purtroppo la media nazionale italiana è molto al di sotto di tale soglia e in particolare il Veneto è agli ultimi posti nella classifica delle regioni. Lo stigma per i pazienti psichiatrici è sempre molto alto ed ora alcuni esponenti politici parlano di tornare ai manicomi. Non possiamo come familiari ed utenti accettare queste considerazioni e far passare per soggetti pericolosi tutti gli utenti psichiatrici. È il momento che le istituzioni si prendano carico anche di questa branca della medicina che è molto complessa ed ha la stessa dignità delle altre».