Di fronte al crollo della natalità l’accusa del Presidente di Federsanità Scibetta. Ribattono gli psicologi: “Non è vero sono cose slegate”
Culle vuote, grigio inverno della natalità, le definizioni si sprecano, ma il concetto resta uguale: le giovani coppie italiane non fanno figli. E i motivi sono tanti: la precarietà lavorativa, il welfare che non aiuta, le incertezze e le paure per il futuro, il desiderio di dare tutto il possibile ai figli che finiscono per diventare ciò su cui investire ogni risorsa. E poi ci sono condizioni culturali, alcune discutibili, come la rappresentazione del corpo femminile e la fluidità di genere.
PERSI 13 MILA PARTI IN DIECI ANNI. Tutto questo è emerso ieri al convegno organizzato da Federsanità Anci, intitolato “Natalità e denatalità: fotografie di sviluppo del paese” , che si è svolto al Centro culturale San Gaetano. I dati sono drammatici: a Padova città nel 1941 c’erano 2.884 parti, nel 2020 sono stati 1.332; nel Padovano le nascite si attestavano sulle 7 mila nel 2010, nel 2020 erano 5 mila, dunque 2 mila bambini in meno; e nel Veneto nel 2010 le nascite erano 45 mila, mentre nel 2021 (ultimo dato tacciabile) sono state 32 mila: abbiamo perso 13 mila parti. «Un numero spropositato», spiega Gianfranco Jorizzo, coordinatore nazionale del Comitato percorso di nascita del Ministero della salute e responsabile del Servizio di medicina prenatale Usl 6 Euganea. «Se prima in Veneto il tasso di natalità era del 9 per mille, cioè ogni mille persone avevamo 9 bambini, adesso è sceso a 6, dunque c’è stato un crollo, sottolineato anche dalla riduzione della popolazione migrante. Padova non ha mai trainato la natalità – tradizionalmente Treviso è in testa e Rovigo in coda- ed è comprensibile perché è una città universitaria, dove i giovani transitano, più che restano». Le conseguenze fanno paura: «Dobbiamo considerare che la popolazione giovane diminuirà ancora, che il 30% degli under 30 spesso non è inserita nel mondo del lavoro e questo complica ancora di più la situazione». Ad esempio avremo meno bambini che riempiranno le scuole e più insegnanti precari; più pediatri a spasso e i reparti di Pediatria sovradimensionati. E la caduta a picco della natalità non è ancora finita: «Per il 2050 si stima che i non genitori superino o eguaglino i genitori. Su tutto imperversa una sfiducia generale, alla quale il Covid ha dato una bastonata finale».
FLUIDITÁ DI GENERE SOTTO ACCUSA. E poi ci sono i fattori impalpabili, quelli culturali: «Il fenomeno della denatalità è molto complesso, ha dei riferimenti oggettivi e le politiche di welfare possono favorire la ripresa», scandisce il presidente di Federsanità Veneto, Domenico Scibetta (già dg dell’Usl6), «ma non si può prescindere dal contesto culturale. Oggi siamo in un sistema fluido e la fluidità interessa le relazioni, ma riguarda anche l’identità di genere. In passato la nascita di un figlio era vista come la conferma dell’identità di genere, è chiaro che se questa identità si indebolisce o diventa più fluida, s’indebolisce anche l’investimento sulla natalità. Un altro elemento culturale è lo schema corporeo: oggi prevale il modello che esclude il concetto di donna come contenitore somatico di una nuova vita, imperano il narcisismo e l’obiettivo della perfezione. Tutto questo si somma al lavoro che non sempre si coniuga con la famiglia; al fatto che i figli non sono ai primi posti delle agende politiche governative; all’idea troppo diffusa che il figlio sia un “problema” individuale della coppia, mentre è un investimento della collettività; al retropensiero troppo ancorato alla funzione esclusiva della madre: quando si parla dei congedi parentali, per esempio, il padre può scegliere».
TEORIA GIÀ SMENTITA DAGLI PSICOLOGI. Rispetto all’identità di genere, tuttavia, l’Ordine degli psicologi la pensa in maniera nettamente diversa: «I giovani non desiderano figli per ragioni molteplici e diverse, riconducibili a un cambiamento radicale della società occidentale – conferma Fortunata Pizzoferro, psicologa e vicepresidente dell’Ordine Veneto – Oggi le persone possono coltivare vari obiettivi, privilegiare la realizzazione personale al posto di quella relazionale e familiare. Influisce soprattutto la mancanza di un welfare che sostenga le famiglie e il desiderio dei genitori di dare ai figli più strumenti possibile. Invece non ci sono correlazioni tra identità di genere e desiderio di genitorialità. Un persona può sentirsi appartenente al genere maschile, femminile o entrambi e desiderare o meno avere dei figli. Identità di genere è come ti senti con te stesso, il genere in cui ti identifichi e non si sovrappone all’orientamento sessuale o al desiderio di genitorialità.”