Rassegna Stampa

«Testimonial per convincere i ragazzi e messaggi su Instagram per vaccinarli»

«Per convincere i ragazzi a vaccinarsi servono testimonial, non prediche». Per Luca Pezzullo, psicologo dell’emergenza, nonché presidente dell’Ordine di categoria veneto, è questo il segreto per accelerare l’immunizzazione dei giovanissimi, ad oggi i più scoperti di fronte al virus.Dottor Pezzullo, l’Usl 6 ha puntato sulle aperture serali per intercettare il maggior numero di giovani possibile, eppure loro hanno disertato il primo appuntamento. Non hanno voglia di riprendersi la loro vita?«Premettiamo che ci sono degli ostacoli esterni che incidono, come il periodo estivo, creando dei piccoli ostacoli che, pure, andrebbero superati di fronte alla magnitudine del problema, tuttavia su persone vicine agli esitanti finiscono per incidere. Accanto a questo c’è anche una motivazione psicologica, laddove tutta l’enfasi dello sforzo iniziale per la vaccinazione è stato centrato sugli anziani, portando alla riduzione della percezione del rischio individuale che va a sommarsi alla sensazione di immortalità che hanno i ragazzi. Ulteriormente si aggiungono le scelte dei genitori che vedono nel vaccino per i figli un rischio maggiore rispetto alla malattia e finiscono per non mettere in atto comportamenti protettivi. Senza sapere che, un grande bacino di suscettibili è terreno perfetto per le varianti». E come se ne esce?«La comunicazione va in tre direzioni, responsabilità sociale altruistica, che tuttavia non incide su tutti, sociale- realizzativo – ovvero vaccinandomi mi posso muovere in un contesto sicuro e fare le cose che mi piacciono – ed egocentrico, cioè di autotutela. Non possiamo ignorare che negli Usa sono morti 600 minorenni e che in Florida le Terapie Intensive si stanno riempiendo di ventenni. Questo virus ha cominciato contagiando gli anziani e, sebbene si stia spostando sui ragazzi, questi non hanno ancora sviluppato la percezione del rischio. Un problema questo che non c’era con la Spagnola che ha attaccato subito i giovani, facendo sviluppare loro un’alta percezione del rischio».Eppure fino ad ora, questo tipo di comunicazione non ha funzionato. Sembra di essere tornati a ottobre: allora si negava la nuova ondata, ora si nega l’incidenza del virus sui giovani. «Perché c’è molta difficoltà a imparare dall’esperienza. I no vax in questo momento sono i giovani e i 50-60enni. Anche se le dinamiche sono molto diverse, in entrambi c’è un comune denominatore di sottovalutazione del rischio soggettivo. Un 50-60enne si sente nel pieno della maturità e della propria autonomia, lontano da quella vecchiaia che identifica con gli 80enni. È molto sicuro e non accetta che gli si dica cosa fare, tuttavia ha anche un po’ meno esperienza sui social di un ventenne che naviga su internet, si muove con più dimestichezza tra le fonti ed è più consapevole. Per i 60enni questa è una miscela perfetta che porta all’errore, sottovalutano il rischio. In questi casi i livelli di moral suasion sono tre: informazioni chiare e dirette, spinte gentili come il Green pass che favorisce scelte socialmente più utili e, se falliscono le prime due, la prospettiva è di arrivare all’obbligo vaccinale per specifiche fasce. È una decisione che attiene alla politica e alle autorità sanitarie, ma è un tema aperto che bisognerà affrontare in termini di salute pubblica e costi sanitari».Ma i ragazzi che non si vaccinano come si intercettano?«Servono canali diversi, testimonial. Servono persone che parlino il loro linguaggio su Tik Tok e su Instagram, perché già Facebook è un social per vecchi».Sta dicendo meglio Fedez di Galli?«In linea di massima sì, anche se trovo Galli piuttosto rock».Non è deprimente pensare di affidarsi a degli influencer per convincere i giovani su un tema così importante?«Per certi aspetti lo è, ma è anche necessario modellare la campagna di comunicazione in base alla platea. Quindi per gli adolescenti bisogna pensare a modelli che arrivino, che con il loro esempio facciano capire che il vaccino è cool, è una figata non una cosa per vecchi. La discussione va legata all’autoidentità percepita, servono messaggi coerenti con i destinatari e i canali in cui vengono diffusi».Mai come ora la società sembra divisa tra “pecore”, i vax, e “cavernicoli”, i no vax, e sta generando tensioni importanti nelle sfere familiari. Crede siano fratture componibili?«Ogni situazione di crisi e di emergenza fa emergere differenze e conflittualità latenti. Non solo: di fronte a un pericolo si attivano reazioni definite “attacco o fuga”, in cui si attivano parti del sistema limbico primitive che escludono analisi raffinate e sprigionano reazioni viscerali che possono sfociare, appunto, in una fuga o in un attacco. Solitamente si tratta di dinamiche componibili, considerando anche che in Italia abbiamo già 40 milioni di persone che si sono vaccinate e i no vax, per quanto siano molto rumorosi, sono migliaia. I dati li avremo tra 6 mesi, quando le Rianimazioni saranno piene al 99% di no vax e giovani».Sta dicendo che per capire dovranno prima toccare con mano?«In questo caso sarebbe una sconfitta per tutti, parenti, carico collettivo e sistema sanitario. Ma a volte è fisiologico».Ora i no vax usano i casi di reinfezione, come quello di Israele, per supportare le loro tesi.«Si tratta di fallacia paradossale cognitiva, ben nota in psicologia. Di fatto si usano i numeri senza tenere conto di come sarebbe la situazione senza i vaccini. Per fare un esempio: mettiamo il 90% della popolazione immunizzata e 100 casi, vengono considerati solo questi ultimi, senza tenere conto di quanti e con quali effetti devastanti sarebbero i contagi senza vaccini».Molti vivono il rifiuto del vaccino come un fatto personale. Cosa ne pensa?«Evidentemente serve un ulteriore sforzo comunicativo, perché non sono i vaccini che sconfiggono le pandemia, ma le vaccinazioni. Questo vaccino a mRna, che pure è un capolavoro scientifico, se non viene usato, non protegge nessuno. Quindi bisogna diffondere una comunicazione che faciliti e spinga. L’emergenza è uno sport di squadra, è come la staffetta 4X100: se uno sta fermo, anche se tre fanno una performance splendida, alla fine perdono tutti». —