Rassegna Stampa

Trecento mamme sotto il tribunale. Gli psicologi: «La Procura sbaglia»

Corriere del Veneto

Padova Sulle parole spese, sulle proteste e sulle accuse ieri sono scesi dieci minuti di intenso silenzio, quello voluto dalle mamme lesbiche che hanno partecipato alla manifestazione davanti al tribunale di Padova. In trecento ieri si sono presentate con le magliette fucsia, i cartelli e gli striscioni. A terra trentatré bambole con, sopra, altrettante lettere verdi degli ufficiali giudiziari. Un atto simbolico per ricordare il numero di bambini e bambine registrati a Padova con due mamme dal 2017, i cui atti di nascita verranno impugnati dalla procura. Ma a Padova nessuna è disposta a fare un passo indietro. «Siamo le loro famiglie e siamo in tante, non ci arrederemo mai» dicono.

Quei dieci minuti di silenzio con i cartelli in mano rappresentano il silenzio della politica, che non ha mai riconosciuto a queste donne il diritto alla genitorialità completa, e delle istituzioni, che le costringono ora a una battaglia giudiziaria estenuante. «I nostri bimbi sanno come si chiamano dal primo giorno – spiega Elisa Barbugianni, due figli avuti con la compagna e altri due in arrivo – hanno un nome e doppio cognome scritto sull’armadietto della scuola materna, e si identificano in quel doppio cognome ogni giorno quando c’è l’appello, – aggiunge – al contrario di quello che scrive la procura, a sei anni i bambini capiscono molto bene le cose, certo il mondo fuori è fatto da persone migliori di certi politici e giudici, le maestre sono con noi, gli altri genitori a scuola sono con noi, ho due figli in arrivo e altri due che li aspettano con trepidante attesa, andate a dire ai miei bambini che i piccoli non saranno loro fratelli».

C’è un largo dibattito su quanto i bambini capiscano realmente di queste complessità giudiziarie. Da una parte la procura sostiene che i piccoli non subiscano alcun effetto negativo rispetto al cambio di cognome, dall’altro gli psicologi e gli assistenti sociali dicono esattamente l’opposto. «Ogni situazione che metta in discussione la legittimità e stabilità della propria famiglia può generare inevitabile confusione e stress, con potenziali ripercussioni sulla salute mentale dei bambini e anche degli adulti coinvolti – spiega il presidente dell’ordine degli psicologi del Veneto Luca Pezzullo – nome e cognome rappresentano una prima forma di identità stabile che i bambini introiettano ed esprimono pronunciando le prime parole – aggiunge – creare una situazione di indeterminatezza identitaria provoca grave disagio in una situazione di impotenza e rifiuto e non può che avere ripercussioni psicologiche per gli adulti e a cascata sui figlie sulle figlie». Lo stesso concetto è ribadito anche da Mirella Zambello, presidente del Consiglio dell’ordine degli assistenti sociali.

Presenti ieri alla manifestazione delle mamme anche le due donne che per prime hanno ricevuto la notifica dell’impugnazione del tribunale di Padova. «Siamo state circondate da affetto e solidarietà – spiega – ci sentiamo meno sole, siamo determinate ad andare avanti, la sentenza di Milano (che ha di fatto sospeso la cancellazione del cognome della mamma intenzionale rigettando il ricorso della procura ndr ) ci ha aperto uno spiraglio di speranza, un pool di avvocati sta studiando anche il nostro caso». Al loro fianco anche la Cgil e parte della politica. In piazza ieri c’era infatti il deputato del Pd Alessandro Zan: «Alla ministra Roccella, che parla di “sanatoria” per i bambini di coppie omoaffettive dico che i bambini non sono abusi edilizi – spiega – e alla procura di Padova, che agisce su impulso del Ministero, dico che questa impugnazione è un atto politico, e noi non faremo passi indietro». Segue a ruota Rachele Scarpa, altra deputata del Pd: «La politica mette in atto una operazione conscia e metodica della criminalizzazione delle famiglie arcobaleno – e aggiunge – dicono che quei bambini non saranno discriminati perché avranno istruzione e assistenza sanitaria, non si rendono conto che stanno togliendo loro la cosa più importante, stiamo creando orfani di Stato».